Sui Passi della Fede

– Padre Nostro –


Don Bruno Maggioni
Don Bruno Maggioni

INDICE:


1. Padre Nostro
2. Che sei nei cieli
3. Sia santificato il tuo Nome
4. Venga il tuo Regno
5. Sia fatta la tua volontà
6. Come in cielo così in terra
7. Il nostro pane quotidiano
8. Rimetti a noi i nostri debiti
9. Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
10. Non ci indurre in tentazione
11. Ma liberaci dal male
12. I mille volti del Padre Nostro
Sia santificato il tuo Nome

La prima domanda del Padre Nostro è “sia santificato il tuo Nome”. Si tratta di un’esperienza un po’ lontana dal nostro modo usuale di parlare, e richiede di essere intesa alla luce dell’Antico Testamento, in particolare di Ezechiele 36,22-29 e Levitico 22,31-32. Non indica una lode fatta di culto e di parole, quanto piuttosto un permettere a Dio di svelare, nella sua vita del singolo e delle comunità, la sua potenza salvifica. Con questa domanda il discepolo chiede che la comunità diventi un involucro trasparente, capace di mostrare, di fronte al mondo, la presenza di Dio. Alla domanda in che modo gli uomini possono santificare il Nome, i rabbini solevano rispondere: con la parola, ma soprattutto con la vita. La vera santificazione del Nome è il dono della vita. Ho detto che per comprendere il significato della domanda “sia santificato il tuo Nome” occorre riferirsi a un passo del Levitico (22,31-32) e a un passo del profeta Ezechiele (36,22-29). Nel primo si legge: «Non profanerete il mio nome, perché io mi manifesti santo in mezzo agli israeliti. Io sono il Signore che vi santifico, che vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto per essere vostro Dio». Già in questo passo sono indicati tutti i tratti essenziali della santificazione. Sono cinque. Il primo è che la santificazione è opera di Dio, non dell’uomo: «Sono io il Signore che vi santifico». Lo dice anche la formula del Padre Nostro (“Sia santificato il tuo Nome”), con la quale chiediamo a Dio che Egli stesso santifichi il suo nome. Il secondo tratto è la appartenenza al Signore: «Vi ho fatto uscire dall’Egitto per essere il vostro Dio». Dio libera il suo popolo dalla schiavitù del faraone per legarlo a sé. Si abbandona una schiavitù per una diversa appartenenza. Santo è chi appartiene totalmente al Signore. Il terzo tratto è la novità: si lascia una schiavitù per un’appartenenza nuova. Santo è chi si lascia condurre fuori da Dio dalla logica del mondo, dalle idolatrie («vi ho fatto uscire dall’Egitto»), separato dal mondo non perché non ami il mondo ma perché non ne accetta il peccato. In questo senso santificare il Nome significa vivere una separazione. Il quarto tratto è la trasparenza: «Perché io mi manifesti santo in mezzo agli israeliti». La comunità santifica il nome di Dio quando si rende trasparente al suo amore, permettendo in tal modo al mondo intero di scorgere in lei stessa – nella sua vita, nei suoi rapporti, nella sua organizzazione – il volto del vero Dio. E’ un concetto, questo, espresso con forza particolare anche nella nota pastorale dei Vescovi “Evangelizzazione e testimonianza della carità”: «Tra le caratteristiche della carità il Vangelo pone in evidenza il suo carattere pubblico, e insieme trasparente, proprio come la Croce di Cristo è un evento pubblico, che si è svolto davanti a tutti e nello stesso tempo è l’icona più luminosa dell’amore di Dio… La visibilità (delle opere che la Chiesa compie) deve essere accompagnata da una sorta di trasparenza, che non fermi l’attenzione su di sé, ma invita gli uomini a prolungare lo sguardo verso Dio… Nella sua vita e sulla Croce, in ogni suo gesto, Gesù è stato la trasparenza del Padre. Allo stesso modo la Chiesa, nelle molteplici forme del suo servizio, deve rivelare il volto di Dio, non anzitutto se stessa» (n. 21). In altre parole il popolo di Dio deve essere – nel mondo e di fronte al mondo – una sorta di palcoscenico che permette a Dio di mostrare, visibilmente e pubblicamente, la sua azione. E’ la prima missionarietà della Chiesa e del cristiano. Il quinto tratto della santificazione del nome è un imperativo, che avverte di un’esistenza di una reale possibilità: «Non profanerete il mio nome». Il popolo di Dio può diventare un luogo che “oscura” il volto di Dio, nascondendolo anziché svelandolo. In questo caso il popolo di Dio non è più il luogo della santificazione del Nome, ma della sua profanazione. Su quest’ultimo aspetto insiste molto, quasi con durezza, il passo del profeta Ezechiele: «Così dice Dio, mio Signore: non è per voi che agisco, o casa d’Israele, per il mio santo nome, che avete profanato fra le genti dove andaste. Mostrerò santo il mio grande nome profanato tra le genti, nome che profanaste in mezzo a loro» (36,22-23). Naturalmente il profeta Ezechiele non si accontenta di questa sottolineatura. Con pari insistenza ce ne dice un’altra: «Le genti riconosceranno che io sono il Signore, quando mi si riconoscerà santo per mezzo vostro, al loro cospetto, e vi prenderò di tra le genti, vi radunerò da tutte le parti del mondo e vi condurrò al vostro paese… Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno Spirito nuovo» (36,24-26). Ma il miglior commento alla nostra domanda del Padre Nostro è forse racchiuso nella grande preghiera che Gesù ha rivolto al Padre prima della sua passione (Gv 17). Ecco due affermazioni che fanno al caso nostro: «Santificali nella verità: la tua parola è verità… Per loro santifico me stesso, perché siano anch’essi santificati nella verità» (17,17-19). Gesù ha santificato il Padre con la sua perfetta obbedienza, accettando di essere in tutto la trasparenza del suo amore universale. Con la sua totale obbedienza Gesù ha permesso al mistero di Dio di “trasparire”: un’obbedienza vissuta in tutta la propria esistenza, ma che ha trovato il suo pieno compimento sulla Croce, dove l’amore di Dio si è manifestato in tutto il suo splendore e in tutta la sua universale gratuità. E così la Chiesa. Gesù ha pregato perché la sua comunità venga santificata, il che significa trascinata nel movimento di Dio e, insieme, separata dal mondo. Nella sua preghiera Gesù accentua la separazione dal mondo. Ma bisogna osservare che tale separazione deriva dalla fedeltà a Dio che è, paradossalmente, una fedeltà all’amore. Il discepolo è separato dal mondo perché ama veramente il mondo. Il mondo non si riconosce nel movimento dell’amore e della solidarietà. E’ l’amore disinteressato, solidale, diretto a ogni uomo che trasforma la comunità cristiana in un involucro che svela al mondo intero il volto del vero Dio.
(Don Bruno Maggioni: estratto da “Padre Nostro” Editrice Vita e Pensiero 1998)