Sui Passi della Fede

– Padre Nostro –


Don Bruno Maggioni
Don Bruno Maggioni

INDICE:


1. Padre Nostro
2. Che sei nei cieli
3. Sia santificato il tuo Nome
4. Venga il tuo Regno
5. Sia fatta la tua volontà
6. Come in cielo così in terra
7. Il nostro pane quotidiano
8. Rimetti a noi i nostri debiti
9. Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
10. Non ci indurre in tentazione
11. Ma liberaci dal male
12. I mille volti del Padre Nostro
Non ci indurre in tentazione

Nella sesta domanda del Padre Nostro chiediamo a Dio di «non indurci in tentazione». Il verbo indurre ci sorprende, persino ci infastidisce. La tentazione non può venire da Dio. Già nelle prime comunità cristiane qualcuno lo pensava, e Giacomo nella sua lettera ribatte con decisione: «Nessuno, quando è tentato, dica: sono tentato da Dio; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male» (1,13). Meglio sarebbe, e anche più fedele al testo originario, tradurre: «Non lasciarci soccombere nella tentazione». Al posto di tentazione, poi, si potrebbe usare il termine “prova”. La parola greca dice ambedue le cose. Si dice che la prova purifica e affina lo spirito, fortifica la fede. Può essere vero. Tuttavia la prova è anche pericolosa. Qui nel Padre Nostro se ne sottolinea la pericolosità, e perciò si chiede a Dio di venirci in aiuto. Non si chiede a Dio di evitarci le prove, ma di venirci in aiuto. «Non è forse una tentazione la vita dell’uomo sulla terra?» si chiede Giobbe (7,1). Ha ragione. La vita è tutta una prova. Ma quali prove? Sono molte e di vario genere. Ci sono le prove eccezionali e ci sono le prove quotidiane. Nella spiegazione della parabola del seminatore, Luca dice: «Quelli sulla roccia, sono coloro che, dopo averla ascoltata, accolgono la Parola con gioia: costoro non hanno radici e per un certo tempo credono e nel tempo della prova crollano». Luca non parla qui di prove eccezionali, come potrebbe essere una persecuzione o una grande tribolazione. Egli sa che per spiegare i cedimenti di molti cristiani non è necessario riferirsi alla persecuzione. Bastano le prove comuni, la monotonia della vita, il logorio del quotidiano. Per spegnere gli entusiasmi, anche i più genuini, a volte basta il tempo che passa. Luca adopera qui un verbo che significa: staccarsi, sfaldarsi, cedere. Le immagini suggerite esprimono efficacemente quanto la semplice vita quotidiana possa sfiancare e spegnere. E’ come un tarlo che giorno dopo giorno, senza apparenti mutamenti, svuota di ogni consistenza la fede. Il pericolo di questa prova è grande, perché frequente perché subdola. Si cede senza rendersi conto, si viene meno e non lo si sa. Occorre, allora, vigilare e pregare per non trovarsi a terra senza accorgersi di essere caduti, per non lasciarsi, cioè scivolare piano piano quasi inavvertitamente verso la perdita della fede. Romano Guardini – in un suo libro molto bello che ha per titolo “Le età della vita” – scrive che nessuno è dispensato dal vigilare e pregare continuamente, perché «a costituire una tentazione che spegne ogni entusiasmo, anche nel campo della fede, non sono solo le grosse tribolazioni, ma può essere anche il semplice passare del tempo. La trascuratezza del vigilare sulla propria fede è la strada per perderla a poco a poco, quasi inavvertitamente. E’ proprio il tempo che passa a indebolire, a far perdere freschezza, a costituire una tentazione di fronte alla scoperta del proprio limite, tanto maggiore quanto più l’uomo invecchia». Ho sottolineato la prova quotidiana, normale, perché è la più frequente e la più subdola. Tuttavia ii Padre Nostro intende anzitutto una prova più precisa. Di fatti non parla di prove al plurale, ma di prova al singolare. Di che si tratta? Per rispondere alla domanda – come sempre quando si vuole comprendere il Padre Nostro – dobbiamo guardare a Gesù Cristo. Egli è stato sottoposto alla prova nel deserto (Mt 4,l ss): si trattava di decidere se condurre la propria missione secondo la parola di Dio, o secondo la logica del mondo. Gesù è stato poi sottoposto alla prova nella passione: si legga l’episodio del Getzemani. Le due prove sono congiunte, al punto che si potrebbe parlare di una sola prova in due tempi. Nel primo momento la prova viene dal fascino del mondo, che vorrebbe far credere al discepolo che la logica della parola di Dio è inefficace, improduttiva, certo non adeguata alla missione che si intende svolgere. Nel secondo momento – quello decisivo – la prova sembra venire da Dio stesso, il cui volto appare così diverso da come siamo soliti immaginarlo: un volto certamente sorprendente e bellissimo e tuttavia anche sconcertante: è il volto del Crocifisso. In ambedue i momenti, lo spazio della prova è la stessa identità del Regno, è il suo modo di farsi presente nella storia. Paradossale, ma verissimo: la prova accompagna sempre il Regno di Dio. Scaturisce, per così dire, dal suo interno, dalla sua natura di piccolo seme, dal suo modo di crescere sotto la terra, dal suo totale rispetto della libertà dell’uomo (che pare debolezza). Se davvero il Regno è di Dio, non dovrebbe essere più grandioso, apparire in modo più convincente, irrompere nella storia e mutarla? E’ proprio vero: è lo stesso Regno di Dio che crea lo spazio per la prova. Si comprende allora che la prova – o la tentazione – di cui si parla nel Padre Nostro, non è semplicemente la tentazione dell’uomo che si dibatte nelle molte difficoltà della vita. E’ la tentazione del discepolo, del missionario che ha fatto del Regno il suo principale desiderio, l’unica ragione della sua vita. Se la tentazione è così strettamente congiunta alla natura del Regno di Dio, allora si deve anche concludere che Dio non può evitarci questa prova. L’incontro con il Crocifisso è necessario, se si vuole veramente conoscere chi è Dio. Ma se non può sottrarci alla prova, il Padre può aiutarci a non soccombere. Anzi, può aiutarci a scorgere la bellezza del Crocifisso, così da rimanerne stupiti anziché scandalizzati.
(Don Bruno Maggioni: estratto da “Padre Nostro” Editrice Vita e Pensiero 1998)