Sui Passi della Fede

– Padre Nostro –


Don Bruno Maggioni
Don Bruno Maggioni

INDICE:


1. Padre Nostro
2. Che sei nei cieli
3. Sia santificato il tuo Nome
4. Venga il tuo Regno
5. Sia fatta la tua volontà
6. Come in cielo così in terra
7. Il nostro pane quotidiano
8. Rimetti a noi i nostri debiti
9. Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
10. Non ci indurre in tentazione
11. Ma liberaci dal male
12. I mille volti del Padre Nostro
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori

La quinta domanda del Padre Nostro non si limita a chiedere il perdono di Dio, ma allarga il discorso aggiungendo: «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Il perdono di Dio e il nostro perdono ai fratelli sono dunque legati da un “come”. Certamente questo “come” non significa che il nostro perdono costituisca la ragione, la misura e il modello del perdono di Dio. Sarebbe un modo capovolto di guardare Dio! Il suo perdono precede sempre il nostro, incondizionato, gratuito e senza misura. Tuttavia il “come” pone fra i due perdoni un legame stretto e decisivo. Lo ribadiscono diversi testi evangelici. Per esempio Matteo in una sorta di breve commento allo stesso Padre Nostro. Fra tutte le frasi che poteva scegliere da commentare, ha scelto proprio la nostra: «se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (6,14-15). Lo stesso concetto ritorna anche più avanti, sia pure con parole diverse: «Col giudizio col quale giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (7,2). Lo stesso pensiero, infine, riappare in un’affermazione di Marco (11,25), che sembra un’eco del Padre Nostro: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, lo perdonate, perché il Padre vostro che è nei cieli perdona a voi i vostri peccati». A questo punto si può già trarre una prima conclusione. Comunque si intenda il significato preciso di quel “come”, resta fermo che il perdono ai fratelli è di assoluta importanza. Il legame col perdono di Dio è stretto, addirittura in un certo senso necessario. Anche il perdono dato, e non solo il perdono ricevuto, è decisivo. Ma che cosa significa rimettere i debiti? E quali debiti? La formulazione del Padre Nostro è negativa, ma il suo contenuto non può che essere positivo. E’ sempre il Vangelo che lo dimostra. In un passo in cui si parla del perdono, Matteo (5,44) dice di amare i nemici e di pregare per loro. Il verbo amare non può che avere il contenuto pieno dell’amore. E’ dunque partecipazione, solidarietà, preoccupazione, aiuto. E’ molto più del semplice perdonare. E anche il verbo pregare suggerisce un atteggiamento positivo: pregare significa desiderare il bene del proprio nemico. Matteo non parla di nemici, ma di “persecutori”, termine che generalmente indica il nemico della comunità, dei cristiani come tali, non semplicemente il nemico personale. E il plurale (amate, pregate) sembra voler dire che l’intera comunità è invitata a perdonare, non soltanto i singoli. E si conclude, infine, sottolineando che il perdono è necessario, se si vuole essere figli di quel Dio che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. In un passo che si può dire parallelo, Luca (6,27.33-35) non parla solo di amare e pregare, ma aggiunge «far del bene» e «benedire». La positività del rimettere i debiti è qui ancora più chiara. E poi Luca non parla del nemico come persecutore, ma come colui che maledice, odia, maltratta. Si tratta dunque di una figura di nemico più generale, e anche più quotidiana. Il Padre nostro non precisa di che si tratta: dice semplicemente «i nostri debitori». E nemmeno precisa quali debiti. Ma proprio questa non precisione dice l’ampiezza e l’universalità del perdono: si tratta di rimettere qualsiasi torto, qualsiasi danno ricevuto, chiunque l’abbia fatto. Abbiamo lasciato in sospeso il tentativo di precisare ulteriormente il significato di quel “come”, che pone un legame stretto tra il perdono di Dio e il nostro. Un passo evangelico, che sembra fatto apposta per aiutarci, è la parabola che si legge in Mt 18,21-35. E’ una narrazione a tre quadri. Nel primo si racconta che un servo aveva un debito immenso, del tutto inverosimile tanto è grande. Avendo supplicato un rinvio del pagamento, il padrone gli condona l’intero debito. Il gesto del padrone va oltre la domanda del servo. La risposta di Dio è sempre oltre la misura della domanda, oltre le aspettative e le speranze, oltre il giusto. Nulla viene detto sulle qualità del servo, se buono e fedele, se abile nel lavoro, se ha reso grandi servizi. Si dice soltanto che ha «supplicato». A spingere il padrone a rimettere il debito, dunque, sono state la sua grandezza d’animo e la sua compassione, non i meriti del servo. Il secondo quadro ci riporta nel mondo degli uomini. La relazione non è più fra il servo e il padrone, tra l’uomo e Dio, ma fra uomo e uomo. Qui la scena è inaspettata: il servo perdonato incontra un collega che gli deve pochi denari, viene a sua volta supplicato, ma non si muove a compassione, esige il pagamento del debito fino all’ultimo. Come è possibile, dopo un tale condono ricevuto, non essere capace, a propria volta, di una piccolissima remissione? Chiunque si sarebbe aspettato che il servo -sopraffatto dalla gioia e dalla gratitudine – avesse ritenuto normale perdonare a sua volta un piccolo debito. Ma il servo non ha compreso la fortuna che gli è capitata. Il perdono ricevuto non lo ha rigenerato, né rincontro con la gratuità di Dio gli ha allargato lo spirito. Non ha capito che accettare di essere perdonati significa entrare in un circolo nuovo di rapporti, nel quale i criteri dello stretto dovuto diventano inadeguati. Se ci si ricorda di essere stati perdonati, non si può più essere i difensori della rigida giustizia, al punto da volerla imporre anche a Dio. Chi si fa difensore della rigida giustizia, non è più un annunciatore del volto nuovo e sorprendente del Dio di Gesù, ma l’annunciatore ripetitivo di una figura ovvia di Dio, rigida, triste, troppo simile a come gli uomini se la immaginano per avere la forza di stupirli. Nel terzo quadro tutto sembra capovolgersi. Il servo prima perdonato, ora non lo è più. Certo resta fermo che il perdono di Dio precede, del tutto gratuito e senza misura. Su questo la parabola è chiara: il perdono fraterno è la conseguenza del perdono di Dio, che ne costituisce la motivazione e la misura («come io ho avuto compassione di te»). Tuttavia il perdono generoso di Dio non può confondersi con l’indifferenza. Che l’uomo estenda il perdono ricevuto o lo tenga per sé, agli occhi di Dio non può essere la stessa cosa. Il perdono fraterno va preso sul serio. Non è la ragione del perdono di Dio, però è il luogo della sua verità. Se non dai il perdono, significa che non hai compreso il perdono ricevuto. E’ come se il perdono di Dio dentro di te svanisse. Il perdono al fratello non è la condizione perché Dio, a sua volta, ci perdoni. E’ però la prova che il perdono di Dio l’abbiamo veramente ricevuto, accolto, e che veramente ci ha trasformato.
(Don Bruno Maggioni: estratto da “Padre Nostro” Editrice Vita e Pensiero 1998)